L’aragosta e la storia di Gabriel Arquimbau da Minorca ad Alghero
La storia della marineria ad Alghero, è stata sempre del tutto particolare.
Pare infatti che la Repubblica di Genova abbia volutamente fondato Alghero su uno scoglio flagellato dal libeccio e dal maestrale, ma in buona posizione logistica per le loro rotte commerciali.
Con gli stessi criteri poi fondarono Castelsardo, in Sardegna, ed i loro avamposti nel Mediterraneo e nel Mar Nero, come Pera (presso Istanbul) o come Caffa, in Crimea.
In quell’epoca molte altre potenze navali si contendevano il Mediterraneo, e mentre le battaglie sul mare erano all’ordine del giorno, i maestri d’ascia lavoravano per costruire più galee da guerra che navi mercantili.
E così le flotte di Venezia, Pisa, Genova e del re d’Aragona combattevano in mare lunghe e sanguinose battaglie.
Nel 1353 Genova esce sconfitta dalla battaglia di Porto Conte e deve rinunciare ad Alghero ed agli altri possedimenti in terra sarda.
Non possiamo sapere come si sarebbe sviluppata la marineria algherese se fossero rimasti i genovesi, ma sappiamo che per i tre secoli e mezzo di dominazione catalano-aragonese e poi spagnola, Alghero era una fortezza sul mare asservita alle logiche militari degli avamposti, dove non serviva un porto protetto, ma solo una insicura banchina d’approdo.
La stessa piccola darsena, forse presente dove ora sorge l’ex chiesa Santa Chiara venne interrata e chiusa perché considerata poco difendibile. Naturalmente la marineria c’era, ma come attestano gli antichi documenti, era dedicata alle riparazioni dei velieri in transito.
Le agevolazioni fiscali di cui godeva Alghero, vi accentrarono pesca e commercio del corallo rosso fino al 1492, quando vennero allontanati gli Ebrei dalla città ed il commercio e la stessa pesca del corallo finì per arricchire i catalani e i provenzali, lasciando solo le briciole ad Alghero.
Con l’arrivo dei Savoia le cose iniziano a cambiare: la cittadina si apre lentamente al mondo e riprendono gli scambi ed i commerci con la Liguria e soprattutto con dei nuovi ed esperti marinai: i napoletani.
Arrivano nel Settecento per la pesca del corallo e poi, per tutto l’Ottocento, anche per altri tipi di pesca, portando con sé tanti saperi marinareschi e l’arte della costruzione delle barche in legno da pesca, soprattutto il gozzo a vela latina.
Persa però la pesca del corallo, la marineria e la pesca locale rimanevano attività povere, quasi di sussistenza.
Poi, proprio come in un racconto di Conrad, accade qualcosa. Un “uomo delle isole” arriva dal mare. É giovane, alto e biondo. Si diceva che era un bell’uomo, veniva dal mare, parlava un’altra lingua però sapeva amare,…così scriveva Lucio Dalla.
La descrizione è perfetta per Gabriel Arquimbau, un minorchino di Ciutadella che approda ad Alghero negli ultimissimi anni dell’Ottocento: ha poco più di vent’anni, è di buona famiglia ed è già esperto marinaio. Probabilmente si era inguaiato con qualche bella minorchina ed allora il padre gli aveva comprato un veliero consigliandoli di cambiare aria.
Giunge per caso ad Alghero, e si rende subito conto che qui c’è una ricchezza per nulla sfruttata: l’aragosta.
Con mentalità da imprenditore ed aiutato dalle conoscenze nautiche, ma anche dal saper parlare tutte le lingue del Mediterraneo occidentale, Gabriel riesce a convincere i pescatori locali, per definizione solitari ed individualisti, a collaborare tra loro e addirittura ad allontanarsi dalle loro case di Alghero per l’intera stagione di pesca.
A gruppi andranno a vivere a Porto Ferro (Mont Girat), all’Argentiera, a Capo Frasca, nel Sinis (Pelós), a Mal di Ventre ed ed anche più lontano (La Galite in Tunisia) per pescare l’aragosta con le nasse di giunco ed olivo silvestre. Ogni giorno, dopo la pesca, i crostacei venivano messi in appositi grandi vivai di giunco (marruffus) ed adagiati su fondi sabbiosi per proteggerli dai polpi.
In giorni convenuti, secondo un preciso calendario, arrivava Gabriel al comando della sua mitica goletta El Balear e ritirava il pescato.
Le aragoste finivano nel vivaio di bordo, da lui stesso inventato, ed a carico ultimato, il veliero partiva per vendere le aragoste nei mercati di Barcellona e di Marsiglia, ovviamente a caro prezzo. In quest’ultima città, viveva la moglie di Gabriel, Maddalena Benvenuto di origine genovese, che gestiva un ristorante il cui piatto forte era, come no, l’aragosta algherese.
A fine stagione Gabriel radunava in piazza del Pou Vell tutti i pescatori e li pagava per il lavoro svolto: così nel giro di pochi anni si guadagna il soprannome di l’Espanyol, e diventa una vera leggenda per la città.
É un bravo marinaio, un po’ avventuriero, ma soprattutto è un abile commerciante: d’inverno infatti trasporta arance andaluse e d’estate aragoste algheresi. La flotta aumenta, ed al mitico El Balear, si affiancano il Sofia, il Polonia ed il Progresso, tutti affidati a valenti capitani algheresi.
Ed è finalmente il meritato riscatto città di Alghero , che per secoli è stata prigioniera del maestrale, degli alti bastioni ed un porto che non c’era.
Gabriel, quando arriva con la sua goletta, traina a rimorchio anche un paio di barchette a vela latina. Sono due llaut minorchini, di antica tradizione isolana, migliori del tradizionale gozzo che veniva costruito nei cantieri navali algheresi.
Sono più chigliati, più alti e con la prua più slanciata; in altre parole sono più veloci e sicuri, perfetti per la pesca dell’aragosta anche in acque turbolente. I maestri d’ascia locali (di origine napoletana) non perdono tempo e copiano le nuove imbarcazioni.
Hanno fortuna, le mettono in produzione e diventeranno le nuove barche da pesca ad Alghero, Bosa e Porto Torres, ed in onore a Gabriel l’Espanyol, verranno chiamate espanyoletas. Ancora oggi, anche se a fatica, vengono costruite: l’ultima nata è stata Maddalenetta, una dozzina di anni fa, grazie ai Maestri d’ascia Piero Caria e Vittorio Cacciotto.
Gabriel partecipa alla vita algherese per molti decenni, e molti lo piansero, quando morì nel maggio del 1938. Ad Alghero gli dedicarono la messa funebre nella chiesa dei pescatori (il Rosario), per poi lasciarlo viaggiare fino a Marsiglia, su El Balear.
Così si chiude un’epoca straordinaria per la pesca e per la marineria algherese: i tempi cambiano in fretta, ed appena due mesi prima (marzo 1938) l’Italia aveva bombardato Barcellona, creando le premesse per l’ultimo conflitto mondiale, ma l’aragosta di Alghero, grazie a Gabriel, non verrà dimenticata, ed ancora oggi è apprezzata nei migliori ristoranti di Francia e di Spagna.
C’è ad Alghero chi ha ancora ben vivo il ricordo di questo personaggio da leggenda: Carlo Catardi, che nei suoi libri, scritti con bravura e soprattutto con il cuore, racconta la straordinaria avventura vissuta dalla marineria algherese in quegli anni, e ricorda, lui ragazzino, la figura di Gabriel, o come lui ama definirlo, aquell dimoni de l’espanyol…
(Storie di Alghero)