Fabrizio Divari
di Gloria Vanni
Nome: Fabrizio
Cognome: Divari
Nato: a Roma
Professione prima di venire a Minorca: tatuatore a Toronto
Professione a Minorca: tatuatore e proprietario dello studio La Malapulga a Ciutadella
Con questa intervista ho varcato la soglia di un mondo, quello dei tatuaggi, a me sconosciuto. Fabrizio Divari mi ha “introdotta” a un’arte che vanta esperti e collezionisti internazionali. Mi ha mostrato premi ricevuti in Canada e Stati Uniti. Ho esplorato disegni in bianco e nero e a colori, ho viaggiato tra china, aghi e apparecchi per me futuristici.
Sono sempre dell’idea che i tatuaggi non facciano per me. Eppure, sono rimasta affascinata dalla Malapulga, il nome spagnolo che Fabrizio ha dato al suo nuovo studio di tatuaggi e galleria d’arte a Ciutadella. Significa “pulce fastidiosa”, è anche un’espressione spagnola che vuol dire “essere di malumore”. Nome che ha scelto, spiega, «perché tatuarsi fa male, si sente un bruciore persistente, come se ti stesse pungendo qualcosa».
Che dolore! Mi fermo qui e lascio la parola a lui, inarrestabile viaggiatore che a novembre 2019 sceglie di vivere a Minorca.
Nato a Roma e cresciuto tra Bologna e Milano, Fabrizio già dall’adolescenza disegna e dipinge e, dopo un breve periodo in cui intraprende gli studi universitari alla facoltà di Lettere e Filosofia a Milano, decide di studiare illustrazione alla Scuola Superiore d’Arte Applicata al Castello Sforzesco.
In seguito, studia pittura per due anni all’Accademia di Brera, mentre di sera lavora in un winebar e come autodidatta si avvicina ai tatuaggi nei primi anni Novanta. Racconta:
«Per me era un’altra forma di fare arte, un altro medium; mi affascinava il concetto di permanenza associato a questa disciplina. In estate con gli amici andavamo a Tarifa, una delle città più meridionali dell’Andalusia. Un giorno, in spiaggia, ho visto un ragazzo che si stava tatuando da solo il braccio. Mi sono seduto al suo fianco e ricordo ancora la sensazione che provai: come se una porta piena di promesse si fosse spalancata di fronte ai miei occhi. Nei giorni successivi, ho comprato ago, filo, china e ho tatuato me e gli amici che erano con me, a mano, nella maniera più rudimentale immaginabile. Tornato a Milano, nessuno mi ha più tolto dalla testa l’idea di “tatuare disegni sulla pelle”. Era quello che volevo fare».
Da quel momento, oltre a dipingere di giorno e servire vini la sera, inizia a fare pratica e a sperimentare sugli amici. Tutto è fatto a mano, incluso quando si costruisce una macchinetta con il motore di un Sony Walkman unito a una penna a sfera. Questo non per scelta ma perché comprare ciò che i pochi tatuatori usavano 30 anni fa era virtualmente impossibile se non si conosceva la persona giusta.
La passione lo porta sulla strada del professionismo. Lavora la sera all’enoteca per pagare l’affitto e, con il passaparola, la clientela si allarga e la sua arte di tatuatore inizia a dare i frutti. Nei primi anni Novanta, i suoi genitori si trasferiscono in Costa Rica e Fabrizio va a trovarli con frequenza. Quindi, resta affascinato da quel paese selvaggio e bellissimo. Qualche anno dopo, anche lui decide di andare a vivere ai tropici e di aprire uno studio.
«A Milano tatuavo nella mia tavernetta, al lato del garage, dove con l’aiuto di mio padre avevo allestito un piccolo studiolo, e un paio d’anni dopo trasferii lo “studio” in una camera in casa della mia fidanzata di allora. Ma avevo voglia di nuove esperienze e quando mi trasferii in Costa Rica, colsi l’occasione di cominciare qualcosa di nuovo. Così, nella strada principale di Playa Jacó, in mezzo alla costa Pacifica del Paese, ho aperto il mio primo studio. Era il 1998. Ho vissuto in Costa Rica fino al 2000, sereno e assorbito da quella nuova avventura, eppure anche un po’ annoiato e con poco da fare per un ragazzo di 26 anni.
Così, quando una cliente di Miami m’invitò ad andare a trovarla, non me lo feci ripetere due volte e volai negli Stati Uniti. A Miami trovai lavoro come tatuatore in uno studio chiamato Art and Body Tattoo, vicino a Ocean Drive. Mi offrirono anche la casa proprio sopra allo studio e finalmente, per la prima volta, lavoravo a fianco di altri tatuatori con cui potevo confrontarmi».
Dopo un anno a Miami, Fabrizio torna in Costa Rica per trascorrere il Natale con i suoi genitori (che, per inciso, dopo 15 anni in Costa Rica, si sono trasferiti in Patagonia, Argentina, dove hanno aperto un ristorante fino a quando, parecchi anni dopo, sono tornati in Italia dove ora risiedono). “Buon sangue non mente“, viene da dire: da qualcuno Fabrizio avrà pur ereditato il suo essere sempre pronto a cambiare vita.
«In Costa Rica incontro Jennifer, canadese di Toronto, con la quale decido senza pensarci più di tanto, di lasciare Miami e iniziare un altro capitolo a Toronto, dove il livello artistico e professionale è molto alto e inizio a lavorare in uno dei migliori studi in downtown. Dopo un anno, la relazione con Jeni finisce e mi trasferisco a New York. Era il mio sogno: da sempre sapevo che, prima o poi, sarei finito in quella città incredibile, e così sono arrivato all’East Village con due valigie, pochissimi soldi e nessuna conoscenza che potesse aiutarmi.
Per un anno ho lavorato in tre studi diversi, due in Manhattan e uno in Brooklyn. Ma mantenersi a NYC, seppur lavorando da mattina a sera, era davvero difficile. Perciò nel 2002 sono tornato a Toronto, dove potevo appoggiarmi a uno studio prestigioso e la gente iniziava a conoscermi, e dove sono rimasto 18 anni. Così è iniziata la mia carriera come tatuatore professionista a fianco di grandi artisti. A Toronto, ho lavorato allo studio New Tribe fino al 2007, quando ho aperto il mio studio che si chiamava semplicemente Fabrizio Divari Art.
Ho vinto premi di riviste specializzate e la lista d’attesa per farsi tatuare da me era di 3/4 mesi. Eppure, nonostante il grande successo, le molte differenze sociali e culturali tra Canada ed Europa, mi stavano logorando piano piano. Lavoravo molto, ma non ero felice; dopo 15 anni lontano dall’Italia, iniziavo a sentire la mancanza del vecchio continente. A Toronto tutti corrono sempre, le relazioni personali sono più distanti e superficiali di quelle mediterranee.
Per una persona socievole come me, cui piace uscire con gli amici, parlare con le persone, aprirsi, si faceva sempre più difficile restare in Canada, malgrado le cose andassero davvero bene. Inoltre, il clima è durissimo a Toronto, l’inverno non se ne va mai e negli ultimi anni mi ripetevo: questo è l’ultimo inverno che passo qui».
Alla ricerca di caldo e di sole, e desiderando riavvicinarsi alle sue radici, nell’aprile 2016 Fabrizio sbarca a Minorca durante un viaggio in solitaria due settimane, e ne resta immediatamente affascinato. Poco prima di rientrare a Toronto, conosce Ana, spagnola di Burgos che a sua volta è venuta a vivere qui nel 2014, anche lei conquistata dalla magia dell’isola.
Nei successivi anni, inizia a trascorrere alcuni mesi all’anno a Minorca fino a quando, a novembre 2019 si trasferisce a Ciutadella. Pare che l’avverbio “definitivamente” non gli appartenga.
Quando hai pensato a un tuo studio di tatuaggi a Ciutadella, Fabrizio?
«È un’idea che ho maturato durante gli ultimi anni. Ogni volta che tornavo in Canada, dopo due mesi a Minorca, lo facevo sempre più a malincuore, e considerando cosa avessi potuto fare qui, era naturale immaginare di aprire un nuovo studio di tattoo, che è la cosa che so fare meglio. Tra Mahon e Ciutadella ci sono una decina di studi. Al momento, il concetto di tatuaggio a Minorca è molto basico: la gente predilige disegni semplici e senza colore.
Per cui, se un artista offre uno stile nuovo, c’è tutto un mercato da conquistare: questo è il mio piano, offrire uno stile che vada oltre quello cui sono abituati i locali e una qualità frutto di 30 anni di esperienza nel settore. A gennaio 2020 ho iniziato a cercare un locale adatto alle mie esigenze e il 20 maggio, dopo 4 mesi di lavori interrotti dalle restrizioni per la pandemia, ho aperto La Malapulga al numero 16 di Avenida Negrete. Non amo fare tatuaggi piccoli, preferisco lavorare con disegni più complessi, colorati, di medie e grandi dimensioni. Considero che la mia carriera a questo punto l’ho fatta, i soldi e la fama non mi interessano più come un tempo. Voglio semplicemente vivere bene, dignitosamente, e abbracciare la qualità di vita che questo posto offre a chi la sa trovare».
Cosa ti piace di Minorca?
«La natura, il clima, la calma, il ritmo di vita. Qui mi sento in pace. Ho riscoperto l’importanza delle cose semplici e importanti. Sono felicissimo di essere tornato in Europa dove posso camminare tra tradizioni, storia e cultura, in posti che sono tra i più belli del mondo».
Cosa consigli a chi sogna di vivere a Minorca?
«Consiglio di venire per due settimane ai primi di giugno per farsi un’idea dell’isola. Suggerisco di noleggiare una macchina per esplorarla in lungo e in largo. Poi, di tornarci in inverno per un paio di mesi per capire cosa vuole dire “non c’è niente da fare”, stato che t’induce a inventare cose.
A me personalmente il fatto che molte attività si fermino, e tutto sia più silenzioso e lento d’inverno, ha aiutato a esplorare nuove forme creative, andare a camminare per ore nel verde dell’isola, e conoscere nuove passioni. Proprio adesso per esempio, sto prendendo la patente nautica perché vorrei esplorare il mare non dalla riva ma da una barca a vela. Minorca mi sta aprendo porte che non ho mai considerato prima».
“Non c’è niente da fare” a Minorca in inverno… Fabrizio ha ragione: è una condizione che ti stimola a creare. Per quanto riguarda me, sono una fonte inesauribile di creazioni quotidiane e credo sarà sempre così. Non conosco la noia anche se le occasioni culturali e sociali sono minori di quelle a portata di mano in città come Barcellona e Milano, per fare due esempi. C’è la natura, però, che a Minorca regala pace e silenzi come pochi altri luoghi al mondo.
Quella pace che seduce anche spiriti irrequieti come Fabrizio Divari, artista del tatuaggio che, anche in un anno insolito e difficile come il 2020, ha il coraggio di aprire il suo ennesimo studio per condividere la sua grande passione.
Con leggerezza, sorrisi, gentilezza. Perché, dice, ama ridere e fare ridere. E pure questa è un’arte.
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